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1306-1522 | 1522-1912 | 1945-1947 | 1947 | |||
La storia del periodo cavalleresco, i Grandi Maestri, lo sviluppo dei commerci e l'espansione del dominio dei Cavalieri sull'Egeo, il contrasto della potenza Ottomana, gli assedi alla città di Rodi.
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PERIODO
CAVALLERESCO tratto dal libro di Gino Manicone “Rodi sposa del sole”
edizioni La Monastica Nella storia di Rodi l’epoca cosidetta «
Cavalleresca » va dall’anno 1308 all’anno 1322. Si tratta di un
segmento storico di 214 anni in cui le sorti della città e dell’isola
furono strettamente legate all’Ordine Cavalleresco dei « Giovanniti
» che operarono nel seno della controversa vicenda delle Crociate. Come
tale l’isola di Rodi divenne il punto nodale dei traffici dei Cristiani
verso la Terra Santa e quindi obiettivo primario delle mire e delle
scorrerie dei Sultani di Costantinopoli che mal tolleravano tale
agguerrito avamposto del Papa di Roma in un luogo distante appena un tiro
di schioppo dalle coste anatoliche. L’Ordine Cavalleresco dei Giovanniti ebbe
origine l’anno 1048 in Terra Santa ed aveva all’inizio finalità del
tutto spirituali e filantropiche rivolte soprattutto in favore dei
pellegrini che visitavano i luoghi della vita e della morte di Gesù. A
tale titolo, infatti, auspici alcuni mercanti Amalfitani, i Giovanniti
riuscirono a costruire nei pressi del Santo Sepolcro una chiesa cristiana,
dedicata alla Vergine dei Latini ed un Ospizio per il ricovero dei pellegrini,
dedicato a San Giovanni Battista da cui derivò, appunto. il nome di
Giovanniti. Detto Ordine laico-monastico venne riconosciuto dal
Pontefice Pasquale Il con la bolla del 15 Febbraio 1113.
I Giovanniti vennero in seguito conosciuti
anche con il nome del luogo in cui governarono e nella storia li troviamo
anche con il nome di Cavalieri di Rodi e Cavalieri di Malta. E’
interessante evidenziare che fra i numerosi Ordini Cavallereschi nati
durante le Crociate solo i
Giovanniti
sono pervenuti fino ai nostri giorni. come attesta lo SMOM (Sovrano
Militare Ordine di Malta) attualmente con sede a Roma e riconosciuto
come Ordine Sovrano dalla Comunità Internazionale. Come già accennato i Cavalieri prevennero al possesso di Rodi dopo la caduta di San Giovanni d’Acri nelle mani dei Musulmani. In tale occasione furono costretti ad abbandonare la Terra Santa e rifugiarsi nell’isola di Cipro, ospiti del Re Enrico di Lusignano nella città di Limisso (Limassol). Il loro spirito di servizio verso la Chiesa Cattolica e la loro vivace intraprendenza nella difesa della fede mal si conciliava però con la vita sedentaria che le offriva l’ospitalità di Cipro specie in un momento tanto cruciale per le sorti dell’influenza Cattolica sui Luoghi Santi. Dopo la morte del Gran Maestro dell’Ordine fra Guglielmo de Villaret, un poco per nepotismo e un poco per meriti personali il Capitolo dei Giovanniti elesse alla prestigiosa carica un suo diretto nipote: Foulques de Villaret, un personaggio assai diverso della personalità mistica dello zio perché molto deciso e intraprendente. Egli si diede subito da fare per rompere l’esilio dorato di Limisso e cercare un altra sede più confacente allo svolgimento della loro particolare Missione. Le sue mire s’indirizzarono subito verso
l’isola di Rodi che in quel momento, pur facendo parte della grande Koinè
Bizantina, risultava, come già detto, una terra assai sguarnita e perciò
alla mercè di tutti gli avventurieri che frequentavano il mare Egeo. Il Gran Maestro prese
accordi con l’Ammiraglio corsaro genovese Vignolo de Vignoli,
concertando un’azione comune contro l’isola di Rodi. La spedizione
vista dal Villaret come una passeggiata invece andò a finire come
un’avventura visto che il Gran Maestro dovette penare quasi tre anni per
venirne a capo. Con tutto ciò furono alquanto fortunati, perché
trovandosi in quel momento l’Imperatore Bizantino Andronico Il Paleologo
impegnato nella difficile campagna di Siria ed in altre contese non fu in
grado di distogliere dal suo esercito le forze necessarie da inviare
alla difesa di Rodi, altrimenti il Villaret avrebbe sicuramente pagata
cara la sua superba intraprendenza. Scendendo ai particolari dell’operazione
Rodi, il Gran Maestro Giovannjta il 26 giugno 1306, radunò una modesta
squadra navale composta da due galere, una fusta e tre navi minori, con a
bordo 35 cavalieri, 6 turcopilieri (cavalleria) e 500 fanti e si avvio
alla volta dell’isola. Durante il viaggio alla piccola flotta crociata
si aggiunsero anche due galere fatte armare dal Vignoli. Di concerto
navigarono fino all’isola di Castelrosso dove presero terra per poi
proseguire alla volta di Macri situata proprio dirimpetto all’isola di
Rodi, per attendere il momento più favorevole per l’attacco. Tale momento giunse il 20 settembre 1306 e non
appena la squadra raggiunse le acque dell’isola gli armati sbarcarono
nella costa orientale occupando subito il castello di Feraclo, difeso da
una modestissima guarnigione bizantina. Il giorno 25 settembre da Feraclo,
ubicato fra i villaggi di Arcangelo e ‘Lindo, si avviarono verso Rodi
tentando un attacco contro la città ma senza successo per la rabbiosa
reazione dei difensori per cui le posero assedio. Tale condizione tanto logorante non solo per i
difensori ma soprattutto per gli attaccanti assolutamente privi di
rifornimenti dall’esterno durò molti mesi. Il giorno 11 novembre dello
stesso anno tentarono una favorevole sortita ed occuparono il castello del
Fileremos, ma l’aquila bizantina continuò ancora per molto a sventolare
sulle torri quadrate della città di Rodi. Tale imprevisto ristagno nelle
operazioni, che a tavolino avevano ‘preventivato come brevi e sicure,
misero, a dura prova anche l’intraprendenza del Villaret che rompendo
ogni ulteriore indugio decise di rivolgersi direttamente all’Imperatore
Bizantino, proponendogli, alla resa della città, di sottomettersi alla
sua giurisdizione e di fornirgli anche 500 cavalieri per la campagna che
l’Imperatore aveva in quel momento in atto contro di Persiani. Andronico 11 Paleologo respinge con sdegno
l’offerta del Gran Maestro Giovannita e come testimonianza del suo
interesse per l’isola inviò a Rodi una nave carica di vettovaglie che
‘naturalmente finì nelle mani degli assedianti e Dio solo sa quanto
ne avessero bisogno in quel momento. Visto sfumare miseramente
l’approccio tentato verso l’Imperatore di Costantinopoli il Villaret
non si diede per vinto e si rivolse al Papa Clemente V che assurdo ma
vero, con la bolla del 5 settembre 1307 diede l’investitura dell’isola
al Gran Maestro Giovannita. Come è del tutto evidente il rescritto del
Pontefice Romano non aveva alcun valore giuridico in quanto concedeva
l’investitura di una terra assolutamente estranea alla sua sovranità ma
tali formalità di natura, per così dire, burocratica durante il
burrascoso periodo crociato rappresentavano solo un inutile eufemismo. Al
Pontefice interessava solo il fatto di vedere sorgere un nuovo Stato
cristiano in un punto assai caldo dell’area mediorientale; un nuovo
baluardo della frontiera della cristianità. La città di Rodi continuò, comunque, a
resistere all’invasore e solo il 15 agosto del 1808 si arrese al
Villaret ma alla condizione della salvezza della vita e dei beni di ogni
cittadino. Dopo l’occupazione della città gli accordi
presi con l’Ammiraglio Genovese vennero puntualmente rispettati ed a
lui venne assegnato il castello di Lardos e un terzo dei proventi
dell’impresa che furono minimi. L’insediamento dei Giovanniti a Rodi,
sotto il profilo economico e lo’gistico fu sicuramente pesante per le finanze dell’Ordine ed il Gran Maestro fu
costretto ad indebitarsi con i banchieri fiorentini Bardi e Peruzzi per 575.000
formi d’oro e con la Camera Apostolica per 900 Ducati d’oro. Per loro
fortuna solo dopo tre anni e cioè nel 1312 il Papa Clemente V con la bolla
del 3 aprile soppresse l’Ordine dei Templari che tanta parte aveva avuto
nella difesa dei Luoghi Santi e molti beni di pertinenza ditale Ordine,
scampati alla famelica rapina di Filippo il Bello, vennero donati ai
Giovanniti che migliorarono con quel « mors tua vita mea » i
loro
conti economici anche se molti cavalieri non gioirono per la
sorprendente combutta tra il Papa e il Re di Francia. Bisogna riconoscere, però, che la vita
dell’Ordine di San Giovanni, pur nelle alterne vicende della storia è
stata una esaltante epopea che si è senz’altro distinta da tutto il
complesso storico scaturito dalle Crociate. Molti sarebbero gli episodi
esaltanti ed i sacrifici salienti riferiti ai
Giovanniti
e degni di
notazione
storica ma questo lavoro è finalizzato solo a tratteggiare
i lineamenti della storia di Rodi per cui il discorso
sull’epoca cavalleresca sarà limitato agli avvenimenti importanti svoltisi a Rodi ed agli atti più incisivi dei
19 Gran Maestri dell’Ordine che esercitarono il governo in detta isola. Le antiche cronache cavalleresche danno del
Gran Maestro conquistatore di Rodi una immagine assolutamente impropria e
falsata, dipingendo l’intraprendente cavaliere francese come un uomo
proclive al lusso ed alla magniloquenza. Un modo di vita assai distante
dal voto di povertà imposto dall’Ordine ai suoi adepti, un
impenitente dissipatore da allontanare dalla prestigiosa carica in nome
dei sacri principi monastici.
Rodi nel periodo cavalleresco, cartolina anni 30 Collezione J.F.Lagueniere Un capitolo straordinario, autoconvocatosi nel
convento di Rodi, pilotato soprattutto dai suoi avversari, lo destitui
dalla carica, eleggendo al suo posto il cavaliere fra Maurizio de Pagnac.
Il Villaret per proteggere la sua vita e curare la sua cocente delusione
si ritiro nel castello di Lindo, aspettando tempi migliori. Nessuno in
quel momento si rese conto che l’Ordine Giovannita con la conquista di
Rodi aveva fatto un grosso salto di qualità e da una semplice
confraternita pietistica era divenuto di punto in bianco protagonista di uno Stato. Uno Stato con le sue leggi, il suo territorio, i suoi abitanti e tutti gli
specifici attributi per presentarsi all’esterno con una veste di potenza
e
rispetto. Che valore avrebbe potuto avere uno Stato mistico e di natura
conventuale di eroi e penitenti quando nella dirimpettaia Anatolia
aleggiava il fasto bizantino e dall’altro lato della costa Turchesca
facevano già
capolino
gli ardimentosi Ottomani. Il De
Pagnac non riuscì, però, mai ad indossare la croce d’oro che simboleggiava la dignità del Capo
perché il Pontefice intervenendo nella incresciosa vicenda riabilitò
il vecchio Gran Maestro. Si trattò, però, di un provvedimento di solo
valore morale perché i poteri dei Villaret vennero fortemente ‘limitati
nell’ambito della sfera economica; una riabilitazione salomonica per non scontentare nessuno. Oltre alla
creazione d’elio Stato ‘Cavalleresco di Rodi, fra i meriti del Vilaret
va ricordato soprattutto il provvedimento di affranco della popolazione
isolana che fu sollevata, finalmente dal secolare servaggio in cui fino
ad allora era stata tenuta, creando quelle favorevoli premesse per la sua
associazione alla difesa dell’isola che nei decenni successivi
puntualmente si verificò e fu di grande aiuto durante gli assedi portati
dai Sultani Ottomani. Si deve tener presente che la stragrande
maggioranza della popolazione che viveva
nell’isola era
di religione
Ortodossa ma tale
differenziazione lu del tutto superata negli anni avvenire per gli effetti del Conci]ìo di Firenze del 1431 le cui decisioni vennero
introdotte nell’isola il 13 dicembre 1452 e rese operative p’er l’associazione
alla difesa nel 1474. Nel Concilio di Firenze partecipò il Metropolita di Rodi
Nataliel il quale aderì all’unione con la Chiesa di Roma. Nel 1474 ci
fu l’accordo tra l’Arcivescovo Cattolico di Rodi ed il Metropolita
Metrofane. La Chiesa Ortodossa dell’isola ritornò allo scisma solo dopo
l’occupazione Ottomana quando riconobbe nuovamente la supremazia ‘del
Patriarcato Ortodosso di Costantinopoli. GRAN
MAESTRO FRA ELIONE DE VILLANUEVE Alla morte del Villaret avvenuta l’anno 1323
il Capitolo Giovannita si tenne presso la Sede Papale di Avignone, alla
presenza del Sacro Collegio Cardinalizio, attestando così la grande
importanza ‘che il Pontefice attribuiva ai Giovanniti. Venne eletto alla prestigiosa carica di Gran Maestro fra
Elione de Villanueve, un personaggio molto in vista nella Corte Pontificia e
dal quale le autorità della Chiesa speravano
di avere concreti aiuti per la realizzazione di una
Lega navale cristiana, sostenuta soprattutto dai
Genovesi e dai Veneziani e cioè una nuova Crociata che per obiettivo
non aveva i luoghi Santi, ma unicamente il contenimento della marineria
Turca nell’Egeo orientale. Detto con un linguaggio più chiaro, il
ritorno ‘dell’egemonia delle due Repubbliche marinare nei traffici
mediorientali ai quali, secondo il Pontefice, anche Rodi doveva ritenersi
assai interessata. La speranza di Giovanni XXIII riuscì, a
concretìzzarsi solo dopo alcuni anni, sotto il pontificato di Clemente V
che poté, finalmente, mettere insieme una flotta di 20 galere (4 della Camera Apostolica, 5
di
Venezia, 5
del
Re di Cipro e 6 dell’Ordine Giovannita), ponendola
sotto il
comando
dell’ammiraglio genovese Zaccaria. La prima operazione realizzata da
tale flotta fu la presa di Smirne, che rimase, poi, sotto il governo dei
Cavalieri fino all’anno 1408. Durante l’operazione contro Smirne morì
il Comandante Zaccaria e venne sostituito dal giovannita fra Giovanni da
Briandate di origine lombarda. Da quel momento e per la prima vo1ta una
flotta portò le insegne dell’Ordine di San Giovanni. Ritornando a Fra
Elione, dopo la nomina a Gran Maestro e prima che partisse alla volta di
Rodi, attese ad estinguere i debiti sia verso la Camera Apostolica sia
verso i banchieri fiorentini. A tale scopo riunì un Capitolo nella città
di Montepellier per imporre tasse e tributi vari ai vari Priorati europei
da pagarsi alla Tesoreria dell’Ordine ogni anno in occasione della
festività di San Giovanni. Per tasse e tributi a carico delle Commende
e dei Priorati europei, Rodi rappresentò un vero pozzo senza fondo, perché
grandi erano le necessità per mantenere sempre in efficienza un posto
di frontiera così importante per la cristianità, sempre minacciato dagli
Ottomani ed anche preda di calamità naturali. A Rodi si distruggeva e
si ricostruiva in continuazione come si trattasse di una assurda condanna
durata 214 anni. Fra Elione giunse a Rodi l’anno 1332. Egli
continuò l’opera già intrapresa ‘dal Villaret, accrescendo
soprattutto la potenzialità difensiva dell’isola. Fra le varie
costruzioni dedicate alla difesa va ricordata la realizzazione del munito
castello ‘di difesa situato nella costa settentrionale dell’isola
conosciuta come Villanova. Tale castello ebbe importanza anche per le
epoche successive perché abitato dai Pascià turchi fino al 1912 e poi
abitato anche dal Governatorato Italiano, come residenza estiva, fino al
1943.Alla sua morte Fra Elione lascio l’Ordine privo di debiti e la città
cli Rodi rifornita di ogni cosa. A ben ragione è ricordato dalla storia
come il « Rettore Felice ». Fra i meriti del Villanueve va ricordato anche quello
di aver reintrodottà nell’isola di Rodi la lavorazione artistica
della ceramica attraverso valenti ceramisti persiani caduti prigionieri
dei eavaheri durante gli scontri navali nel mare Egeo. Tale tradizione
venne incrementata durante il periodo di sovranità dell’Italia, dalla
Società ICARO dei maestri di Faenza e possiamo dire che anche al presente
costituisce un capitolo importante dell’economia turistica
dell’isola. GRAN
MAESTRO FRA DEODATO DE GOZON Alla morte del Villanueve avvenuta l’anno
1346, il Capitolo dei Gicvanniti, riunitosi nel convento di Rodi, elesse
alla carica di Gran Maestro il suo Luogotendnte, il cavaliere fra
D’eodato de Gozon, storicamente conosciuto come il « dragone extintor ».
Anche
se durante il suo governo il De Gozon non ebbe mai a de-meritare, si deve
riconoscere che aveva una personalità assolutamente originale, per non
dire assai sconcertante. Il D’e Gozon, riuscì, infatti, a suscitare la
credibilità popolare intorno ad un episodio del tutto fantasioso:
l’uccisione del mostro del Malpasso, una storia ‘di caccia alle
streghe della [avolistica medioevale che risparmiamo per serietà ai
lettori, ma che ebbe sicura influenza Fra Deodato morì il 7 dicembre
1353 e venne sepolto nella chiesa magistrale di San Giovanni al Collacchio. FRA
PIETRO DE CORNEILLAN A fra Deodato successe fra Pietro de
Corneillan, priore di San Gilles, che resse la carica solo due anni. Pur
nella brevità del suo mandato espresse un carattere deciso e severo nelle
questioni della disciplina e della morale perfettamente in linea con la
sua profonda spiritualità. La storia lo ricorda giustamente come « correttore
dei
costumi » . FRA
RUGGERO DES PINS A fra Pietro successe nell’anno 1355 fra
Ruggero des Pins anche lui provenzale. Durante il suo governo l’intera
regione Rodi compresa, venne afflitta da una tremenda pestilenza unita a
grande carestia. Il Gran Maestro si adoperò al massimo per acquistare
granaglie iu
Europa
per sollevare il popolo rodiota dall’indigenza, arrivando a vendere
perfino suppellettili preziose. In tale disastroso frangente il De Pins
preoccupato ed avvilito chiedeva aiuti a destra e a manca per la sua
martoriata isola. Per tale ragione è conosciuto come « l’elemosiniere ».Durante il suo governo portò aiuto al Re
‘di Cipro per la conquista di Satalia (Adalia) e di Gorligos, due città
situate nel golfo di Alessandretta, meritandosi la riconoscenza del
Pontefice (1302). Tutto ciò a ben ragione in quanto trovandosi in tale
periodo i potentati europei impegnati nella guerra dei cent’anni, non
furono in grado di rispondere alla Crociata bandita da Urbano V ed il Re
di Cipro fu costretto a difendersi da solo contro gli attacchi sempre più
pressanti
dei musulmani. Anche nel campo culturale l’attività del Des Pins fu
molto intensa. Si deve, infatti, a lui la traduzione in latino degli Statuti dell’Ordine
che raccolti in volume furono, poi, inviati a tutte le Commende cd a
tutli i Priorati cristiani La
maggioranza dei cavalieri era composta spesso dai viziati rampolli delle
varie dinastie europee. Per molti di essi più che la fede, premeva
indossare il prestigioso abito cavalleresco. Dopo il necessario periodo di
iniziazione trascorso sempre nel convento di Rodi, ai pericoli ed alle
fatiche di un ambiente permanentemente in stato di guerra, preferivano la
vita comoda delle Commende e le affettuose attenzioni di mammà, per cui
la guarnigione di Rodi si riduceva spesso a poche centinaia di persone con
grave pregiudizio delle necessità di difesa. L’anno 1358 il Sultano
Ottomano Amurat con una rapida azione s’impadroni di Gallipoli,
destando notevole allarme nel convento di Rodi. Il Gran Maestro des Pins
prendendo finalmente atto della sconcertante situazione delle forze
stabilmente presenti nell’isola, emanò un severo provvedimento di
richiamo per tutti gl’imboscati europei, obbligandoli nominativamente
a raggiungere con ogni urgenza l’isola di Rodi. Si trattò di 63 cavalieri francesi e spagnoli e 37
italiani,
inglesi e alemani, FRA
RAIMONDO BERENGER Alla morte del Des Pins venne eletto alla carica di Gran Maestro il
cavaliere provenzale fra Raimondo B.erenger che ricopriva la carica di
Comrnendatore di Castel Saraceno. Il Capitolo Generale si svolse il 15
marzo 1R6~ presso la Corte Papale di Avignone. Fra Raimondo per aver
svolto alcune missioni conciliatrici per conto del Pontefice è
storicamente ricordato come « mediatore di pace » anche se il suo
temperamento era alquanto bellicoso visto che decise una sconsiderata
operazione bellica contro il Sultano d’Egitto, creando le premesse di
futuri guai per l’isola di Rodi. Accordatosi con il Re di Cipro,
allestì una squadra navale che tra grossi e piccoii arrivava a circa
100 legni sui quali imbarcarono un gran numero di cavalieri e soldati
francesi e spagnoli, fatti giungere appositamente da Venezia. In gran
segreto queste forze fecero rotta verso l’Egitto. Dove appena giunti,
assalirono di sorpresa la città di Alessandria, passando a fil di spada
gran parte dei difensori caduti prigionieri. Alla notizia del proditorio
attacco il Sultano, fremente di rabbia, radunò ie sue schiere e mosse
subito contro gli invasori. Vista la mala parata l’armata dei cavalieri
e quella cipriota, dopo aver saccheggiato e appiccato il fuoco in più
punti della città, ripresero frettolosamente il largo. Non appena
constatata « de visu» la grande tragedia il Sultano iniziò
febbrili preparativi per la rivincita da sfogare naturalmente su Rodi e
su Cipro. Dando corpo al famoso detto che « il giudizio arriva sempre in
ritardo » il Gran Maestro, preoccupato delle intenzioni rivendicative
del Sultano d’Egitto, si mise subito all’opera per rinforzare le
difese dell’isola, esigendo ancora denaro, mezzi ed uomini dalle sedi
europee dell’Ordine Acquistò, infatti, d’urgenza 500 corazze, 500
golette, 500 celate e 200 bolsoni da balestra dalla celebre fabbrica di
armi di Pavia. In quel periodo giunsero a Rodi numerose famiglie profughe
dalle regioni Ottomane e fra Raimondo, con il consenso del Consiaiio.
decise di accettare i profughi, destinandoli all’isola di Coo, dove
ebbero assegnato il villaggio di Cefalo. Vennero inoltre riforniti dell'
essenziale per vivere e di 25 paia di buoi per le lavorazioni agrarie cia
pagare nell’arco di due anni. Nello stesso anno (1366) il Gran Maestro
Berenger concesse in feudo le isole di Piscopi e Calchi a Barello Assanti
di Ischia per 200 formi d’oro all’anno. riservandosi però. il dominio
su tali terre nonché i falconi per il diletto del Gran Maestro e cosa assolutamente
sconcertante per un cristiano « le prede di tutti i naufragi che fossero avvenuti in dette coste
».Con l’aiuto dei Veneziani riuscì, comunque,
a calmare le ire del Sultano d’Egitto (tregua del 1370) salvando da sicura strage sia
Rodi che Cipro. Morì il 13 febbraio 1374. FRA
ROBERTO DE JUILLY Dopo la morte del Berenger successe nella carica di Gran Maestro
Fra Roberto de Juiliy, originario di Linguadoca, Priore di Francia. Dopo
l’elezione e prima che dall’Europa si mettesse in viaggio per Rodi, il nuovo Gran Maestro ebbe d’al Papa anche l’incarico
di assumere la difesa cli Smirne no’n avendo più il Pontefice fiducia
verso il genovese Ottobono Cattaneo, governatore della città, affiancando
all’incarico un contributo in danaro di 3000 fiorini d’oro da pagarsi dalla Camera Apostolica. A
causa dell’indisciplina che regnava nel convento di Rodi
il
Gran Maestro affrettò la partenza per l’isola dove giunse l’anno
1375. Come ‘primo atto intervenne nella organizzazione interna del
Governo, ripristinando l’ordine in tutti i settori, migliorando così
le condizioni materiali e spirituali dei Cavalieri che erano alquanto
scadute. in vista dell’aumentata potenza Ottomana, riunì un
‘assemblea in Avignone, ‘dalla quale venne disposta la partenza per Rodi
di altri 500
Cavalieri, accompagnati da altrettanti frati serventi. Poco dopo e cioè
il 29 giugno 1376 fra Roberto morì e venne sepolto nella chiesa magistrale . FRA
GIOVANNI HERNANDEZ DE HEREDIA Al Juil’ly ‘successe nella carica di Gran Maestro un
valoroso
uomo d’arme spagnolo, fra Giovanni Hernadez Heredia, stimato consigliere
di
Papi
e di
Principi.
Al
momento
dell’elezione ricopriva la carica di Priore di Catalogna e Castellano ‘d’Emposta, carica
quest’ultima che determinò grave scontento fra i
cavalieri
provenzali. Il
de
Heredia su incarico del
Pontefice
aveva diretto i lavori
di
fortificazione
d’ella città di Avignone e dava, quindi, piena garanzia di poter governare un isola cristiana
costantemente posta nell’occhio del ciclone, come era quella di Rodi.
Altra importante prova di attaccamento alla Chiesa Gian Fernando l’aveva
già data il 20 ottobre 1373 quando comandò le 22
galere
che riportarono il Pontefice Gregorio XI a Roma, guadagnandosi la
riconoscenza dello stesso Papa. Dopo la nomina magistrale partì dalla Spagna
alla volta di Rodi ma fece tappa in Morea (Peloponneso) per portare aiuto
ai baroni cristiani del luogo, attaccati da tutte le parti dagli Ottomani.
Dopo aver recuperata ai cristiani Lepanto ed assaltata Arta, mentre si
dirigeva alla volta di un sito vicino, cadde in un imboscata tesagli
dagli Albanesi che lo fecero prigioniero. Venne venduto, poi, ai Turchi i
quali per il suo riscatto pretendevano somme ingentissime. Durante la
sua assenza il governo dell’Ordine fu assicurato dal suo Luogotenente
fra Bertrando Flotta. il Bosio ci ricorda che il
Gran Maestro de Heredia durante uno scontro con il governatore di Patrasso
con un fendente gli mozzò di netto il capo. Ciò spiega il perché
dai pittori dell’epoca veniva sempre raffigurato
con la testa di un moro tenuta per i capelli con la mano sinistra. Per
la sua liberazione l’Ordine si dichiarò disposto a pagare qualsiasi somma, ma di tale
gravosa incombenza si occupò, poi, la sua stessa famiglia. Alla morte
del Pontefice Gregorio XI il Conclave
di
Roma elesse ai soglio pontificio, il
Cardinale napoletano Bartolomeo Prignano, che prese il nome di
Urbano VI (aprile 1378). 11 nuovo Pontefice si mostrò decisamente
contrario a ritornare nella sede di Avignone. Alcuni cardinali, assai
contrariati da tale decisione, si riunirono presso il Conte di Fondi e
dichiararono nulla, ma l’elezione di Urbano VI e il 20 settembre 1378 lo
sostituirono con l’antipapa Clemente VII. A tale riguardo mi si permetta una breve digressione: il mio paese
nativo, Sonnino, situato nei pressi di Fondi nel XIV secolo faceva partè
della stessa contea. In occasione della nomina dell’antipapa Clemente
la popolazione ebbe dal Conte Onorato I il seguente proclama: « Nobili
cittadini di Sormino. Con molta allegrezza vi nottifi.chiamo che il
Padre della Misericordia e di Consolazione, avendo compassione del suo
popo’io tribolato per l’elezione al papato di Bartolomeo Vescovo di
Bari, nulla et invalida di ragione, non essendo entrato dalla porta.
Vacando, dunque, la sede di Pietro, occupata tirannicamente da questo
anticristo, oggi 20 settembre, nella nostra città di Fondi, come luogo
sicuro, da tutti i sedici Cardinali e cioè 13 francesi e tre italiani, ~ stato eletto
per Pontefice e vero vicario ‘di Cristo il Cardinale Gebennense chiamato
Clemente VII. Sia dunque lodato il Santissimo Signore Nostro che ha
provvisto di tanto pastore alle sue creature. Rallegratevi et esultate
eid in segno di allegrezza accendete lumi per tutto e mandate ambasciatori
a rallegrarvi di questa assunzione et a renderle la dovuta obbedienza ».
I nostri antenati, sottoposti alla
giurisdizione del Conte Onorato di Fondi dovettero, purtroppo, fare buon
viso a cattiva sorte e la sera del 20 settembre il paese venne illuminato
da una grande fìaccoiata anche se tanta gente non comprendeva affatto
tali lottre ecclesiastiche e che pochi mesi prima erano stati chiamati per
la stessa ragione a partecipare al Te Deum di ringraziamento nella
chiesa di San Michele Arcangelo in onore della elezione del Papa Gregorio
XI. Ritornando ai fatti di Rodi, anche il Gran Maestro Heredia, dopo la
prigionia si affrettò a rendere omaggio all’antipapa Clemente,
facendo una scelta di campo tanto decisa che spaccò in due l’Ordine
Giovannita. Urbano VI ordinò allora ad una Commissione Cardinalizia di
indagare sull’atteggiamento
del Gran Maestro il quale venne dichiarato scismato. Al suo posto venne
chiamato il Cavaliere di origine Napoletana Fra Raimondo Caracciolo. La
fazione di Rodi non lo riconobbe, però, mai come suo capo e continuò ad
essere fedele all’Heredia. Il Caracciolo potè, dunque, esercitare la
sua autorità solo sulle Commende dell’Ordine situate in Italia,
Allemagna, Inghilterra e Portogallo. A Rodi, intanto, l’Heredia riuscì a
realizzare una tregua con il Sultano Ottomano B’aiaze’t figlio ‘di
Anmrat. Alla morte dell’antipapa Clemente venne eletto il Cardinale
Aragonese Pietro de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII. La
disastrosa situazione della Chiesa di Roma con Papa e Antipapa
contemporaneamente regnanti, andava piano, piano attenuandosi, così come
andavano attenuandosi anche le fazioni che la sostenevano. Morto a Roma
fra Riccardo Caracciolo, il Pontefice non nominò più un Gran Maestro
dell’Ordine, alternativo all’Heredia, ma nominò solamente il
Luogotenente nella persona ‘di Bonifacio Caramandila un cavaliere
spagnolo della stessa terra del Gran Maestro. Durante tale baillamme di
nomine e contro nomine in Europa, la situazione di Rodi andava
progressivamente aggravandosi perché il Baiazet, rotta la tregua,
continuava a profferire continue minacce contro l’isola, per cui al
‘de Heredia non restava che proseguire l’opera di potenziarnento delle
difese, raccogliendo dai finanziatori di sempre 2.000 fiorini d’oro per
pagarne le spese. Confermò fra Essone di Sleglcotz al governo delle iscle
di Coo, Lero e Calino con l’obbligo, però, di pagare all’Ordine 100
fiorini d’oro all’anno, di mantenere la guarnigione di difesa nelle
isole e di dragare il laghetto di Coo per favorire l’entrata
dell’acqua del mare nello stagno al fine di debellare Ja malaria.
Dececluto in quell’anno Ferrante Vignoli, te’nutario del castello di
Lardos il Gran Maestro affidò il castello ad un suo diretto parente
residente a Rodi, tale Nicolino Lippo. Si trattò, come è evidente di
una semplice speculazione finanziaria in quanto il Lippo rivendette subito
il castello a Folco Vignoli un medico di Rodi, parente del defunto
Ferrante.Radunata 1’assemblea dell’Ordine in Avignone venne deciso il
rafforzamento delle mura di Smirne a spese del Gran Maestro, prelevando i
4000 formi d’oro dalle sue rendite personali. Il voto di povertà dei
cavalieri era divenuto, ormai, una pura formalità e ciascun di essi nello
svolgimento degl’incarichi pensava anche di procurarsi un gruzzolo personale. I lavori da
realizzare a Smirne vennero affidati al Cavali&e Domenico d’Aiemagna
che svolgeva anche la funzione di Ammiraglio dell’Ordine. Fra Domenico,
a differenza di molti altri, era un vetro filantropo e già aveva fondato a Rodi, sempre a sue spese, la chiesa
dedicata a Santa Caterina con annesso ospizio, dotando la fondazione
delle rendite derivanti da tre mulini a vento esistenti nella filiera del
molo e di altre rendite ricavate da beni di sua proprietà esistenti
nell’isola. Tale fondazione si rivelò importante soprattutto per i
cavalieri italiani che erano molto devoti alla Santa
Martire Caterina già da quando, in terra santa, frequentavano il convento
del monte Sinai. Il Gran
Maestro Heredia, morì l’anno 1396 lasciando di se luminosa memoria. FRA
FILIBERTO DE NAILLAC Al Gran Maestro Heredia successe il Priore di Aquitania fra Filiberto ‘di Naillac. Il nuovo Gran Maestro seriamente preoccupato per le conquiste che il Baiazet andava facendo nei Balcani e dando corpo alle opinioni del suo predecessore che aveva sempre affermato la necessità di combattere il Sultano prima che questi amplia’~se i suoi domini e rafforzasse la sua potenza; aderì alla richirsta fattagli dal Re Sigismondo d’Ungheria affinché ‘partecipasse con L sue forze alla campagna che stava per iniziare contro i turchi. Ad essa avevano già aderito la nobiltà francese •capitanata da Giovanni di Nivers, quella inglese capitanata dal Duca di Lancaster, i tedeschi di Federico di Hoenzolle; ed altri contingenti d’Italia, Austria e Boemia. Iniziate le operazioni, l’armata del Re Ungherese, dopo aver attraversato il Danubio pose assedio alla città di Nicopoli. Nel vedere le sue truppe schierate il Re Sigismondo dichiarò che con quel poderoso esercito non solo avrebbe sbaragliato l’odiato Sultano Ottomano, ma sarebbe stato in grado di sostenere con le sue lance anche il cielo se fosse caduto. Il Gran Maestro Naillac si accorse, però, di essere caduto nelle mani di un megalomane solo quando l’esercito cristiano ebbe il primo scontro con il nemico rimanendone, purtroppo, sbaragliato. Riattraversate a marcia indietro le acque del Danubio riuscirono a stento a salvarsi, riparando prima a Costantinopoli e poi a BoA; dove il Re d’Ungheria si trattenne solo pochi giorni per proseguire, poi, a bordo di una galera alla volta della Dalmazia. Fortuna volle, però, che a fermare il Baiazet ci pensò in seguito il capo tartaro Tamerlano, il quale all’insegna del suo motto: « rasti rusfi » (sempre dritto), partito da Samarcanda spinse i suoi guerrieri verso occidente, confluendo, poi, attraverso le due Carovaniere asiatiche, nella zona di Ankara dove il 28 luglio 1402 sbaragliò l’esercito del protervo Sultano. Lo stesso Baiazet, fatto prigioniero, venne rinchiuso in una piccola gabbia di ferro, che Tamerlano portava sempre con se, adoperandola come sgabello per montare a cavallo. Anche i Giovanniti non riuscirono a contenere l’impeto delle schiere tartare che si avventarono contro Smirne ed i Cavalieri, dopo una fiera resistenza, furono costretti a capitolare. La metodologia di assedio dei tartari era molto pratica e sbrigativa: il primo giorno issavano sul campo un stendardo bianco, il secondo giorno uno stendairdo rosso e il terzo giorno e seguenti uno stendardo nero. Con il rosso si garantiva la vita a tutti i difensori,, con il rosso si ritenevano colpevoli solo i capi e i maggiorenti locali e con il nero tutti a fu di spada. Dopo la perdita di Smirne il Gran Maestro Naillac, per non perdere un valido punto di appoggio sulla costa orientale anatolica, cori ardita sorpresa riuscì ad impossessarsi dell’arsenale di Halicarnasso, dove tra il 1398 e il 1408 venne costruito il famoso Castel San Pietro, denominato in seguito « Petronium » e volgarizzato, poi, in «Budrum ». Castel San Pietro fu un baluardo importante per l’Ordine Giova’nnita e, malgrado si trovasse in un.a regione assai tormentata dagli Ottomani, rimase nel possesso dei Cavalieri fino al momento della resa a Solimano. L’anno 1402 morì a Rodi l’ultimo erede dei Vignoli, Simone Vignoli ed il Naillac investì del castello di Lardos Dragonetto Clavelli. L’anno successivo il Sultano d’Egitto tornato finalmente a miti consigli, dopo la sconsiderata azione del Berenger su Alessandria, mandò a concludere un trattato con i Cavalieri a seguito del quale questi ebbero la facoltà di mantenere un console a Gerusalemme e la restituzione di tutti i beni che. erano stati confiscati e cioè la chiesa e l’ospizio da cui avevano avuto origine. Il Naillac, come vedremo in seguito, si adoperò molto per il rafforzamento delle mura. Morì do.po 25 anni di governo esercitato con prudenza e valore. FRA
ANTONIO FLUVIAN DE LA RIVIER Al Naillac successe il Gran Commendatore di Cipro fra Antonio Fluvian. La sua ascesa al governo di Rodi, avvenne in un momento assai difficile e cioè quando tutt’intorno all’isola esprimeva ostilità. A Fisco (Marmaris) stazionavano due grandi vascelli turchi; in Adalia e Scadeloro, avevano armato sei galere per Ie scorrerie nel mare dell’isola e in Egitto i giannizzeri stavano armando una gran quantità di fuste per assaltare le coste di Rodi. Di fronte a tale preoccupante realtà il Gran Maestro si diede subito da fare non solo per rafforzare le opere difensive ma anche per gli approvvigionamenti e come sempre ricorse a nuove tasse e balzelli a carico delle Commende europee. A tale scopo venne inviato in occidente con l’incarico di esattore il cavaliere fra Giovanni Starigues, che riuscì in breve a raccogliere la bella cifra di 100.000 fiorini d’oro che a Rodi, costretti a vivere sempre coi il dito sul grilletto, aspettavano come ‘la manna dal cielo. Lo Starigues, però, anziché fare la via dell’isola, si fece irretire da Alfonso d’Aragona e fece la via di Napoli. A lui consegnò i 100.000 fiorini d’oro perché provvedesse ad armare una flotta da inviare a Rodi. Il Re di Napoli intascò felicemente il denaro ma per la flotta solo chiacchiere dilatorie. Lo Starigues pagò la sua ingenuità con l’espulsione dall’Ordine ma il Gran Maestro di Rodi dovette sbrigarsela da solo per far fronte alle urgenti necessità di difesa. L’anno 1428 il Fluvian, con la morte nel cuore, riunì un nuovo Capitolo per studiare altre possibilità di ottenere aiuti ma con deludente risultato. A Fantino Guerrini, Priore di Roma concesse l’isola di Nisiro con tutte le fortezze per un censo di 600 fiorini d’oro, una vera inezia per le necessità del momento che peraltro si erano aggravata per alcuni casi di peste che crearono per evitare il contagio un vero fuggi fuggi nel borgo, nei casali e nei castelli. Anche se la tesoreria. dell’Ordine in quel tempo era assolutamente in bolletta, il Gran Maestro al momento della morte avvenuta il 29 ottobre 1437, lasciò in favore dell’infermeria di Rodi 10.000 fiorini ‘d’oro, come attesta la sua lapide sepolcrale rinvenuta durante lavori di sterro fatti all’interno delle mura. |
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